La nostra relazione con gli oggetti è orientata da qualità estetiche che eccedono la loro utilità e generano connessioni tra visione e desiderio, di cui la pittura è da sempre esperta. Sulla tavola Irene Balia scompone e dispone gli oggetti del quotidiano per mettere in scena questa speciale eccedenza, in cui si esibiscono due differenti strategie di seduzione. Linee decorative si espandono in maniera discreta ma pervasiva lungo le pieghe dell’intera superficie, dove si imbattono e convergono in una potenza estetica di natura opposta: l’ipnosi della carne. Esposta, denudata anche nei tagli meno nobili, la carne rivela un genere di seduzione più controversa, presente nelle vetrine delle macellerie come nelle tavole dei più raffinati ristoranti. L’esplicito, la ricerca ossessiva del dettaglio, non scade nel morboso, perché il piacere che concede è del tutto apatico, marcato dal distacco tipico delle Nature morte. Nelle immagini la decorazione non è una banale aggiunta, ma si identifica con la struttura stessa del lavoro divenendo puro ornamento senza scopo. Le figure alleggerite risalgono in superficie, dove primo piano e sfondo si ricongiungono senza nascondere nulla. O quasi nulla. La pittura di Irene Balia racconta senza purismi la totale elaborazione estetica dei luoghi che abitiamo, come cifra più autentica del contemporaneo. Laddove i confini tra le arti sfumano, le eredità lasciate in dono da Matisse e dalle tavole imbandite di Bernard Buffet incontrano le suggestioni della fotografia Still life, le decorazioni della ceramica e degli interni, il food design e gli influssi inevitabili del kitsch. Per questa via, risponde silenziosa alle premure di chi teme l’eclissi del genere pittorico in favore di nuovi mezzi e nuove dinamiche. Accoglie e scandisce con i suoi ritmi l’innovazione, senza che il tempo scalfisca il fascino delle sue antiche strategie di seduzione.
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