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Che nome dare al nostro stare-insieme? Quale parola è in grado di raccogliere la prossimità dello spazio e del tempo che condividiamo quotidianamente con gli altri. — è una dichiarazione di resa della parola che affida al tratto che congiunge e disgiunge Tu—Me la possibilità divenire superficie, immagine. Spaziatura complicata da includere nel corpo del testo. L’autore ci chiede di osservare gesti, rituali, posture di coloro che condividono le pieghe del tempo quotidiano, costantemente sotto lo sguardo tanto da sfuggire a una reale attenzione. Tore Manca registra l’intima vibrazione tra corpi, l’esperienza tattile attraverso cui chi tocca si sente inevitabilmente toccato. La richiesta è quella di esporre il tratto del riconoscimento, l’abbandono cieco all’altro che conduce talvolta al chiudersi delle palpebre. Nel con—tatto il tempo appare dilatato, ripetuto. La sosta permette di deporre la consueta armatura e il peso delle mani si fa conforto. Con un doppio movimento l’autore rivela attimi di familiarità davanti all’obiettivo mantenendo contemporaneamente la distanza necessaria alla regia dietro una linea di sicurezza dai confini labili. Dall’esterno tenta di trattenere il tempo per conservare nella memoria la traccia di gesti apparentemente insignificanti che una volta venuti a mancare diventano nostalgia, singolare anticipazione futura di un sentimento compromesso col passato. In alcuni frangenti, i dettagli sgranati annunciano come l’assenza di un segnale, forse momenti desiderati, inseguiti e mai raggiunti se non grazie alla finzione costruita. Nell’atto del toccare che si trattiene dall’afferrare, la nudità esposta diviene condivisa, le zone di contatto divengono punti d’approdo di isole le cui mura di difesa cedono. Temporaneamente.

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