Venerdì 9 Dicembre 2016 ore 18.30 lo spazio espositivo Chora apre le porte di via Zanfarino 29 al primo appuntamento con l’arte contemporanea. Si vis pacem, para bellum di Narcisa Monni sarà l’evento inaugurale curato da Inschibboleth. Le installazioni di Narcisa Monni si potranno visitare dal 9 sino al 20 Dicembre, dalle 18.00 alle 21.00 Si vis pacem, para bellum “Si vis pacem, para bellum” è una locuzione latina che suggerisce l’investimento bellico come sottile e controversa strategia politica per il ripristino o il mantenimento di condizioni di pacifica stabilità interna. Se dal punto di vista ideologico, la costruzione anche arbitraria di un nemico esterno contro cui impostare il riarmo può sedare conflitti civili e intimidire eventuali reali attacchi, la locuzione nasconde nelle sue pieghe il ruolo svolto dalla spesa bellica nel creare ricchezze, occupazione e quindi stati di momentaneo appagamento. Narcisa Monni attraverso le sue installazioni indaga il ruolo economico delle armi intese come merce, la cui vendita incide sensibilmente sul PIL di civilissimi stati. Nelle sue lastre di alluminio sceglie di costruire una sorta di catalogo con la fedele riproduzione delle armi più vendute al mondo, predisposte all’acquisto. Il lavoro pittorico di Narcisa dimostra che un’operazione d’arte contemporanea di qualità non si affida mai solo all’istinto e tantomeno al caso. Anche in assenza di una traccia preliminare, quando il gesto procede con nervosa immediatezza come il suo, la ricerca dell’equilibrio ossessiona la composizione dalla genesi sino alla compiuta realizzazione. Un po’ come se questi lavori avessero raccolto l’eredità dell’irruenza dell’espressionismo astratto americano e dell’ impulsività vibrante di gesti come quello di Gérard Schneider, cercando una paradossale sintesi con la compostezza e l’equilibrio della scultura, come la lezione di vulnerabile leggerezza offerta ad esempio dalle istallazioni di Calder. Così, sui fogli di alluminio di Narcisa, le colature abbandonano la loro solita veste di sbavature e si rivelano il prezioso espediente di supporto a una struttura di pesi e contrappesi. L’eccesso che riporta al perfetto bilanciamento dell’immagine, nel tragitto pieno di insidie che guida l’idea dalla mente dell’artista al visibile. L’alluminio pur nella sua freddezza metallica interagisce con l’intera concertazione dell’esposizione. Supporta e reagisce all’acrilico che lo invade, ne cura le colature, ospita in alcuni casi il flatting e pretende opacità dalle luci, contendendone la funzione, data la sua natura riflettente. Proprio in virtù di questa natura obbliga l’osservatore a specchiarsi nell’atto stesso di osservare come anche in quello immediatamente successivo in cui si emette un giudizio. In questo modo, apparentemente accessorio, esso regola silenzioso l’intero impianto espositivo, ospitato in uno spazio nella cui memoria sono conservate, in affinità con l’idea guida della mostra, parole come macello, carne, merce, lame, vetrine. Il confine tra l’artificio di una mostra e la quotidianità del mercato viene condotto a continua oscillazione e il gioco tra norma ed eccesso innerva l’intera installazione di Narcisa. Esiste, nell’immagine di un’arma, un’eccedenza tale per cui non si riesca a concepirla semplicemente come merce? Il confine si fa incerto. Cosa rappresenta, ad esempio, un Remington per l’operaio che non ha mai sparato contro qualcuno ma ne assembla le parti per mestiere? Ancora, ci sono stati d’eccezione in cui l’uso delle armi è da considerarsi legittimo? Che ruolo hanno quando siamo autorizzati a invocare la legittima difesa? Chi difendono? Chi offendono? Ci offendono? Narcisa non propone un’opera di denuncia, non è questo l’intento. Le sue installazioni ci conducono in uno spazio incerto in cui vacilla il limite che separa l’entropia generata dall’assedio quotidiano di immagini belliche (dai media quando se ne ha la fortunata distanza) dalla dirompenza con la quale si impongono nuovamente a noi al prossimo massacro, occasione sempre nuova di stupore, pianto e rimpianto attorno al quale il popolo si ritrova unito. L’immagine si impone con la sua potenza, non insegue né propone una qualche verità concettuale ma espone una visione trasversale sulla opacità compatta e pacifica della realtà, rivelandone senza pudore le crepe e le controverse sfaccettature.
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